Si potrebbe scambiare per un errore di scrittura. E infatti io leggo, meccanicamente, Monte Veronese. L’errore è mio, mentre l’etichetta è giusta e cita: Monte Custoza. Si tratta di una gustosissima e sana trovata di Lucia e Carlo dell’Agrigelateria Corte Vittoria. Del formaggio in gelateria? Sì! Certo! E non solo.
A maggior ragione in questa occasione dedicata alla degustazione di vini con prodotti caseari. E dove tutto ha un sapore fragrante e genuino. Come le emozioni che traspirano dalle parole di Federico Venturelli, figlio di Angelo titolare dell’Azienda agricola Venciu.
Ma andiamo con ordine. La location che ospita la serata è appunto l’Agrigelateria Corte Vittoria, recente struttura che io incontro per la prima volta con il buio, perché sono le 8 della sera di un venerdì dicembrino.
Qualche faro che illumina c’è e qualcosa anche dell’arredo esterno riesco ad apprezzare, tipo il grande tavolo circolare che fa molto convivio e che può accogliere davvero un gran numero di persone. Ma soprattutto mi godo la campana di stelle che avvolge il gruppetto di case e il verde che le circonda. Doveroso tornarci di giorno, mi dico, rimanendo comunque con gli occhi puntati in alto. In ammirazione.
I promotori della serata sono le famiglie Venturelli e Tabarini che, pur conoscendosi da non molto tempo, sono stati in grado di stringersi la mano per favorire un intendimento comune: dare visibilità alle loro aziende e ai loro prodotti.
E noi, io e gli altri ospiti, ci siamo fatti coinvolgere nell’evento.
Così, seduti comodi all’interno dell’Agrigelateria, dopo il caloroso benvenuto degli organizzatori, ci troviamo nel piatto una piccola mattonella di bianca e cremosa ricotta. Superba!
Accanto, un boccone di primo sale. Tenero e ingenuo: sparisce in un attimo! Nel bicchiere – blasonato Venciu – l’Extra Dry che Federico racconta con la sicurezza di chi l’ha visto crescere quel vino, dalla terra al calice appena versato.
Io, confesso, non so riprendere le note tecniche sullo spumante che ben sono state illustrate, ma ho largamente apprezzato le bollicine che mi sono state servite. Altrettanto la voce di Lucia che, intercalando quella di Federico, prende confidenza con la sala attenta e curiosa e fornisce informazioni sulla lavorazione del latte che diventa ricotta, affiora in superficie e si fa catturare. Noi, intanto, passiamo al palato le delizie decantate.
Nel secondo giro di generosi assaggi appare il presunto errore di scrittura che mi aveva colpita mentre curiosavo tra i prodotti esposti nel banco frigo: quel Monte Custoza. Si tratta di un formaggio fresco che prende il nome dalla località di produzione e fa il verso al più rinomato Monte Veronese. La presentazione del prodotto spetta a Carlo, marito di Lucia.
Timido, più avvezzo al back stage che al sipario, ma largamente soddisfatto di parlare delle sue creature a un pubblico tutto sommato consistente (ci sono una quarantina di persone) e che, non c’è dubbio, apprezza!
Con il vino rimaniamo in tema: Federico ci propone un Custoza DOC. Non poteva fare diversamente – mi vien da pensare – e comunque è quel che ci vuole, l’abbinata funziona. E se ne va anche questo giro. Si chiacchiera volentieri e si osservano le caratteristiche visive – giallo paglierino – e olfattive del vino che evoca la frutta gialla e sentori di mandorla amara, tanto al naso quanto alla papille. È un vino di medio corpo, vellutato, fresco e di facile beva. Tutto a regola d’arte, insomma.
Prima di introdurre la seconda parte della degustazione, più robusta e stagionata, ci viene servito un gelatino al Garganega. Bella e gradita idea.
Nell’intermezzo c’è chi si appresta alla sigaretta di turno e chi comincia a chiedersi se poi potrà comprare i prodotti assaggiati. Gli organizzatori si prodigano per far star tutti a proprio agio e per offrire un bis di formaggio e un altro calice di Custoza. Si sta bene. Natale è prossimo e la serata gode di un’ottima atmosfera.
Qualche minuto e i presenter riprendono il loro ruolo: ai microfoni Federico e Lucia, in tavola il Quadrifoglio [formaggio semistagionato] con delizia di peperoni Venciu, e Garganega Igt nel bicchiere.
Sembra una sequenza che si ripete, ma non è solo questo. C’è davvero curiosità e attenzione in chi ascolta la narrazione dei cibi che stiamo mangiando.
È interesse vero per quello che si porta in bocca. Esigenza di conoscenza, di approfondimento, di dare volto e mani a chi ha creato e ora si espone e racconta. Con orgoglio, certo, ma pure con i piedi saldamente poggiati a terra. Perché misura le parole come ha misurato i passi con i quali vuol far crescere la sua azienda. I Venturelli e i Tabarini hanno un rapporto stretto con la terra e sanno che non si improvvisa, non si saltano le stagioni, non si inventano i mestieri. La qualità del prodotto ha un suo codice che va coltivato con tecniche appropriate e con tanta passione. Sono messaggi che arrivano forti e chiari a noi ospiti che ci apprestiamo nella degustazione dell’ottimo Salame, la Caciotta stagionata con la Confettura di pesche e a sorseggiare il rosso Bardolino DOC.
Nel crescendo di profumi e sapori serviti e gustati, e sapientemente accompagnati per voci alternate, io mi porto a casa la certezza che c’è una giovane Italia di artigiani [dal punto di vista etimologico e semantico: chi pratica l’arte della trasformazione delle materie prime utilizzando le mani, con particolare valorizzazione del bello], si tratti di contadini, allevatori, viticoltori, mastri pastai, artisti e creativi, filosofi e ingegneri, … una giovane Italia che ha voglia di recuperare un rapporto solido con la natura – con la forza generatrice – assecondando il senso di appartenenza a un luogo e a ciò che rappresenta, valori compresi, anzi, soprattutto. Ma non per perpetrare tradizioni nostalgiche o invocare radici di cui non si conoscono le origini, piuttosto per generare valore secondo una visione etica che renda il giusto a tutti e preservi equilibrio e sostanza alle generazioni future.
Grazie alle persone che ci hanno voluto mettere la faccia. E alle parole che Federico ha più volte rimarcato, a benefico dell’autenticità che distingue ognuno: “il nostro essere noi, questo siamo.”
Un brindisi!