Era un po’ più tardi del solito quando mi sono chiusa la porta alle spalle. Ho dovuto forzare le gambe, ma ancor prima la testa. Distoglierla dalle righe di “Ciclope” e infilarla dentro la maglietta. Altrettanto ho fatto con le game: infilate energicamente nei pantaloni da runner. Da lì in poi è stato tutto in discesa. Scarpe, giubbotto, berretto per le orecchie delicate, occhiali per evitare che mi lacrimino gli occhi, qualche euro in tasca e un giro di chiavi alla porta.
Stamattina mi va di cambiare giro e mi sposto di un paio di strade parallele a via San Nazzaro. Travalico via XX Settembre. Tutti dormono, incrocio solo un gatto il 53 che viaggia praticamente vuoto. Approdo in via Cantarane, all’altezza della caserma della Guardia di Finanza. Mi viene in mente un moroso del secolo scorso, finanziare. Un tal Paolo. Tiro diritto e inizio a correre, piano ma con disciplina. Raggiungo la zona universitaria in pochi minuti e attraverso Ponte Nave. Normalmente mi sposto verso il centro per via Ponte Nuovo. Ma mi andava di portare gambe e sguardi in altre direzioni, che tra qualche settimana mi diventeranno sempre più famigliari.
Sono a ridosso del centro, infilo via Leoncino. Smetto di correre e osservo le poche persone che, come me, fluttuano su e giù per la via. Un addetto dell’Amia fa finta di raccogliere le cicche sul pavè: in una mano uno scopa e nell’altra la paletta. Sul marciapiede, a pochi metri la sua Ape car. Gli si legge in faccia la frustrazione per quel che sta facendo. E’ invece di buon umore l’edicolante che sta di fronte a Coin, sistema i quotidiani e fischietta. Mi fa un cenno di saluto. Ricambio e proseguo spedita. Arrivo in piazza Erbe e butto l’occhio in piazza dei Signori. Entrambe ancora in abito da risveglio.
I primi “piazaroti” mettono mano a frutta e verdura, alzano l’ombrellone del proprio banchetto, scambiano cenni di saluto ai vicini. A bordo piazza baristi e ristoratori apparecchiano tavolini e accendono stufe esterne.
La Verona dei mercanti si mette in moto. Sparuti turisti si orientano tra i banchi e le poche indicazioni, si fermano per un caffè e chiedono lumi.
Io non mi soffermo oltre, passo sotto la costola di balena farcita a festa e scruto le casette in legno dei mercatini di Norimberga che circondano il Sommo, nella piazza da cui il nome [ndr: Dante].
Ok, ho visto tutto, per oggi mi basta.
Posso riprendere a gamba svelta, lasciare le piazze e volgere verso Sant’Anastasia. Da lì salire a Ponte Pietra, tenendo l’andatura e respirando a fondo. Provo anche a gestire pensieri e rumor interni. Difficile. Me ne rendo conto atterrando oltre il ponte e prendendo in direzione San Giorgio, sul lungadige. Torno a camminare veloce e incrocio una ragazza che viene verso di me. La scorgo mentre avanza, mi guarda e sorride. Ghigna e fatica a trattenersi. Capisco che sono io la causa del suo incedere divertito. Sono io che parlo tra me e me e gesticolo pure. Mi sto a spiegare quello che dovrei fare oggi, mi sto convincendo della bontà del mio piano, mi sto a ripetere quel che è giusto e quel che non lo è. Vorrei svuotare la testa e invece rimescolo il contenuto, lo agito e me lo racconto pure. Questa che mi sta di fronte mi avrà presa per matta. Niente di più probabile. Sono Veronese!