[wr_row][wr_column]Dalla riva si scorge il profilo turco. Sagome nerastre nella luce brillante del mezzogiorno. Qui, il fuso porta un’ora in più rispetto a casa. “Qui” significa isola di Kos, appendice sud-est. Il sole è dritto, perpendicolare alle teste dei pochi corpi sdraiati sull’arenile. Un misto di sabbia grigia e sassolini. Dietro le teste cespugli impolverati e rovi con qualche bacca rossa. Un miscuglio di arbusti a cui non so dare un nome. Sempre verdi, nonostante il brullo che li ospita. Alcune auto parcheggiate alla rinfusa, quasi tutte con il logo di un rent a car stampigliato sulla portiera. Anche qualche quod che fa figo e molto vacanza.
È il 5 di ottobre e sembra un giorno perfetto. Temperatura intorno ai 28 gradi. L’azzurro terso che pare dipinto tiene compagnia al mare d’autunno, che davanti agli occhi scorre verso est, spinto da leggeri e intermittenti sciabordii. Una cantilena remota che qui, nella terra di Ippocrate, non ha mai smesso di risuonare. Qualche voce rompe l’aria. Tedesca, greca, italiana. Una signora poco distante racconta alla vicina, pure lei italiana, dei suoi luoghi preferiti per mangiare. Le parla di Jesolo e di Rimini. Cita ristoranti e trattorie. La cadenza è veneta. Per qualche istante mi fa ripiombare nervosamente a casa. L’ascolto con quel misto di curiosità e irritazione. Non posso farne a meno: le sue parole mi arrivano dritte e dirette, si infilano senza scampo nell’orecchio destro. Ora, mentre scrivo. Devo concentrarmi su altro…
Riprendo a sondare i contorni che impalmano questa lingua di terra, tra gli ultimi avamposti greci prima di sbarcare oltre Europa, negli slarghi dell’Asia minore, presso le vastità di popoli che qui, da sempre, hanno dominato. Sono le coste incriminate di questi giorni, dalle quali sgorgano flotte di poveri disgraziati in fuga. Perseguitati. Persone che mancano di prospettiva, certi solo di non possedere nulla. Forse, nemmeno se stessi. Tristezza di un mondo senza pace, realismo di una umanità perennemente alla ricerca. Di dignità. Suona una campana. Una sola. È un unico, lungo, don… onnnnn… Ripetuto due, tre, dieci, dodici volte. Il mezzogiorno scandito dalla chiesetta di fronte alla spiaggia. Lontana qualche centinaia di bracciate dall’insenatura dove sto. Sembra un disegno di bimbo, semplice e ordinato. Figure incollate alla base del promontorio chiuso tra le acque. Troppo grande per essere definito scoglio, troppo piccolo per chiamarlo isola. Alle pendici della roccia spicca la piccola chiesa bianca col tetto tondo dell’azzurro tipico delle isole greche, e due grandi finestre, altrettanto azzurre, con grande croce gialla al centro. Pure le finestre hanno il lato superiore ricurvo, a cupola. (Scoprirò più tardi che si tratta dell’isolotto di Kastri, con la chiesa di Aghios Nicolas). È una creatura essenziale, che domina e rincuora. Un paio di alberi al lato, e dietro le spalle uno spuntone di roccia secca: un cono che si erge in pareti verticali punteggiate da morbidi spuntoni. Una parete da palestra che potrebbe ingolosire arrampicatori della domenica e dilettanti esploratori. Dalle cime escono stormi di volantini, neri, gracchianti, selvaggi. Forse incazzati coi bagnanti impenitenti che non mollano la costa – la loro costa – nonostante l’autunno iniziato. La riva del grande scoglio, o della piccolissima isola, si raggiunge a nuoto, per chi ha gambe e braccia utili. Ha fascino, è curiosa.
Mi cimento nella traversata, ma poco oltre la metà desisto. Mi assale un timore che si nutre della mia fragile autostima. Del momento, di questi mesi. Vince l’insicurezza e torno da dove sono venuta. Con rammarico e con stizza. Mi butto in braccio all’arenile, lascio fare al sole. Che mi culli quel che serve. Io chiudo gli occhi e dirigo la mente altrove. Prima mi asciugo – mi dico – poi leggo un po’, o magari scarabocchio qualche pensiero… Infine mi rivesto e vado a perlustrare i resti di quella che, l’unico cartello presente, definisce Basilica di Aghios Stefanos. È tutto lì, poco distante. Finita la spiaggia, in bocca al mare.
Chissà chi occupava gli spazi millenari che ora possiamo solamente immaginare, assemblando con la mente le poche colonne e i basamenti rimasti. Chissà… mi ripeto. Ma non vado oltre… La mancata traversata mi rode.
Mi rialzo e cerco una doccia.
Fuori stagione a Kefalos
