È domenica 3 luglio e tira una piacevole brezza sulle mura di cinta settentrionali. Le più alte del castello di Soave, fortificazione scaligera tra le meglio conservate del Veneto. È l’emblema del territorio e come tale l’abbiamo assunto pure noi, inserendo un merlo delle mura nel logo della Rete di imprese inSoave. Così, con oggi, riempie gallerie fotografiche e narrazioni dei giornalisti e comunicatori che insieme a noi l’hanno visitato. Il noi – di cui mi faccio portavoce – rappresenta la rete di imprese che ha promosso il press tour, ma, durante il pranzo, si è capito che quel noi includeva anche gli amici giornalisti. La loro è stata un’adesione concreta e convinta al nostro progetto, che null’altro intende se non riconoscere il merito.
A chi? A un luogo, a un territorio, a persone – le vere protagoniste -, a un ecosistema che prova a far parlare di sé attraverso voci distinte, ma armoniche.
Voci delle persone coinvolte nel percorso, capaci di rispondere coralmente e con la stessa passione, e raccontare ciò che fanno tutti i giorni per far vivere la loro azienda e sdoganare i loro prodotti oltre ogni idea di recinto. Durante i due giorni e mezzo di tour abbiamo appreso di progetti sperimentali e tanta voglia di innovare, come è capitato ieri durante la visita ai due frantoi della rete.
Da Sabrina abbiamo appreso che da qualche anno il frantoio Bonamini ha introdotto la coltivazione di una varietà di olive chiamata “Tosca” opportunamente selezionata per saggiarne le potenzialità e avviare nuove tecnologie di produzione e raccolta.
Sempre di loro ispirazione, e in collaborazione
con A.I.P.O. di Verona, è il primo progetto italiano che utilizza i droni in olivicoltura per monitorare il perfetto grado di maturazione delle olive e determinare il momento migliore per la raccolta.
Una ricerca quasi spasmodica di qualità, tracciata attraverso la tecnologia e comunicata al consumatore con lettori QR, interessa invece le bottiglie dell’olio di Ballarini. Vittorio è convinto, a ragione, che l’informazione sia un valore, tanto per chi acquista, tanto per divulgare e promuovere in maniera intelligente il territorio, a partire dai prodotti che lo rappresentano.
Ricchezza su ricchezza, produzione agricola e terroir. Ma, prima di tutto, persone in carne ossa. Braccia che lavorano, teste che pensano. Amore per quel che si fa. Se il Favarol e il Grignano sono e rimangono le cultivar della tradizione, le principali e autentiche di questo lembo di Italia a est di Verona, il rinnovamento è un auspicio da costruire tutti i giorni.
Con rispetto.
Con altrettanto rispetto e con un pizzico di deferenza per gli avi che lì avevano vissuto, ieri, il conte Michele Sagramoso, ha girato la chiave nella toppa del cancello che apre al massiccio maniero di Illasi. Maestoso e superbo, ancora tra noi dopo oltre un millennio di esistenza. La struttura principale, mastio affiancato a un cassero, è, a detta degli studiosi, un’opera quasi unica in Europa e tecnologicamente avanzata. Attorno, un prato ingiallito dal sole, un grande, vecchio e sdolcinato gelso (morar in veronese) una cappa celeste che di gesta, fauste e infauste, ne deve aver incoronate in quantità.
E poi ancora le voci. Altre voci. Suoni e rumori del bosco. Cinguettii e gracchiare di corvi. E frinire di cicale, melodramma estivo per antonomasia. Un mondo immobile, votato alla solitudine, lì sulla cima della collina con l’eco del vento umido che inciampa tra rovi e sassi di epoca prescaligera.
E se qui il tempo statico ci circonda, oltre il perimetro di Villa Sagramoso Perez-Pompei torna a girare veloce. E noi con lui a bordo di biciclette e mini car elettriche, le fantastiche Twizy con le quali abbiamo percorso i 6 km. di sterrato all’ombra del bosco che dalla villa portano al castello.
Ecologia, rispetto dell’ambiente e delle sue tipicità, wellness, gastronomia locale, vini d’eccellenza, le parole chiave che con noi hanno solcato le dune verdi del Soave Wine Park. Vigneti, grappoli in maturazione, pampini rigogliosi, oppure olivi e ciliegi. E ancora viti, ora a pergola ora verticali. Colline da infrangere con gli occhi e respirare con la bocca. Tanti toni di verde come solo in natura possono coesistere.
Da accostare ai colori vividi che ancora si conservano, grazie a inverni rigidi e totale assenza di riscaldamento, su pareti e soffitti della settecentesca Villa Sagramoso, raffiguranti miti e divinità ancestrali nell’atto di proclamare una decisione solenne.
È un oratore nato il conte. Non si nega, ma segna il passo e detta i tempi, senza rinunciare a un calice di fresco Lessini Durello (cantina Sandro De Bruno) che il nostro Presidente, Roberto Ferroli, estrae dal cilindro al limitar del bosco allargando il sorriso sulle labbra di ognuno.
Quindi, ricapitolando, un educational tour per promuovere il territorio e i suoi protagonisti che scollina tra castelli e aziende agricole, cantine e pizzerie d’autore. Relais sdraiati su un magnifico green e ristoranti dai sapori autentici. Caseifici e artigiani della sopressa nella parte più a est del territorio, ormai quasi vicentino.
La prima azienda con la quale abbiamo ridotto le distanze tra organizzatori e ospiti è stata la cantina Monte Tondo.
Aperitivo del venerdì sera sotto gli archi color ocra circondati da pergole di Garganega e Trebbiano.
Il Soave DOC lì la fa da padrone e quasi offusca il vero patron Gino Magnabosco che, come un camaleonte si confonde tra le vigne mentre occhieggia il gruppo in religioso ascolto della figlia, voce narrante la storia di famiglia. Una struttura che comprende cantina, con ampio salone per degustazioni annesso alla bottaia, e agriturismo.
Va tutto bene, abbiamo rotto il ghiaccio. Ora ci si può sedere a tavola, nel retrobottega del negozio.
La Casara, di cui all’omonimo caseificio di Roncà vincitore dell’Oscar del Formaggio con il Monte Veronese d’allevo stagionato 20 mesi DOP.
È qui che lo chef Pier Claudio Burato sta cucinando il Risotto di Soave, un inedito con una giovane storia, destinato a un luminoso futuro. Brodo di carne, sopressa di Brenton a dadini leggermente rosolata nel burro della Lessinia, riso vialone nano biologico, Recioto di Soave sfumato a parte, Monte Veronese affinato in vinacce bianche aggiunto dopo metà cottura e utilizzato per la mantecatura finale con una manciata di Monte stravecchio.
Il risotto, una volta impiattato, si decora con una sottilissima fetta di sopressa cotta e una spolverata di cannella. Da gustare con Lessini Durello 36 mesi (metodo classico) – freddo al punto giusto – o Valpolicella superiore per chi non rinuncia ai rossi.
Cena impagabile, esordio da bis!
Invece, il pranzo del sabato ha debuttato con un menu dai confini più ampi, estesi alle acque di laguna e al mar Adriatico. Moscardini di Chioggia – cotti alla maniera chioggiotta -, canocchie, capesante, sarde al beccafico, seppie in umido. Sapori delicati e altri più robusti, abbinamenti per bianchi e rossi, inclusi i grandi Valpolicella e Amaroni che sono soliti produrre Giuseppe e Raffaella Trabucchi nella loro magnifica cantina Trabucchi sul Monte Tenda a Illasi, da vent’anni votata al biologico.
Pranzo all’aperto, eleganti ombrelloni frangi sole, vista perdifiato che spazia su due province e tre vallate. Sentori di frutta matura, ciliegia, prugna, legno speziato, solo per citarne alcuni dei cinquanta punti olfattivi che il prezioso rosso granato sprigiona. Calici davvero preziosi, Recioto della Valpolicella incluso, con corpo e profumi ad alta intensità.
Il gruppo è entusiasta, partecipa, fa domande, si interessa ai partner della nostra rete, ai prodotti, alla causa di promozione di una destinazione in crescendo, che dichiareranno, la domenica, di sposare senza riserve.
È il turismo esperienziale e multisensoriale quello che vogliamo sviluppare e far attecchire in questo splendido appezzamento di Pedemontana veneta e per questo non ci limitiamo a visite sterilizzate e anonime. Noi entriamo nelle situazioni e ci facciamo contaminare. È d’obbligo. L’esperienza è tutto. Consente di apprendere ed apprezzare, esplorare e sperimentare.
Puntiamo sul contagio per creare condivisione e attrarre viaggiatori curiosi e motivati.
È lo spirito con il quale siamo stati provetti pizzaioli alla pizzeria La Vigna. Mara e Francesco Bresciani hanno acceso il forno in anticipo e guidato le nostre mani. Farina a nastro sull’acciaio inox e pallina di pasta da tirare per ottenere la base della tonda. Poi giù di farcitura a piacere. Infine, i più temerari, inforcano la pala e provano – ignari – a caricarci sopra la loro opera.
Vorrebbero infilarla nel forno e guardarla tingersi di pane, ma l’arte non è acqua e serve l’intervento salvifico della nostra Mara: pizzaiola e manager del fuoco.
Due, tre minuti e pizze nel piatto. Assaggi e sorprese per tutti i gusti, compresa quella a base di mozzarella, pancetta magra, salsa di aceto balsamico e ciliegie di Cazzano in uscita. Meravigliosa!
Quando, passate le 18 salutiamo i due fratelli, siamo sfacciatamente sazi. Di ottima cucina, di spettacolare paesaggio, di sole luminoso e intrigante compagnia, compresa quella delle energiche Twizy che non smettono di stupire gli audaci piloti.
Come bambini sugli autoscontri che in una mano stringono lo zucchero filato e nell’altra il biglietto per la corsa sulle montagne russe.
Arriviamo all’hotel Roxy Plaza intorno alle 19 e l’idea di una doccia 4 stelle e un’ora di relax nelle ampie e confortevoli stanze del Roxy, aiuta a superare la stanchezza.
Appuntamento per le 20, destinazione Soave Relais Castelcerino, dove ci aspetta la famiglia Tabarini nella cornice di un fantastico green che esplode il suo fascino all’ora del tramonto e sotto un cielo punteggiato d’oro.
Qui, a onor del vero, l’attenzione dei più è stata catalizzata dai quarti di finale di Coppa Europa con l’inossidabile duello Italia – Germania [omissis… ], ma nulla toglie all’esclusività del luogo che coniuga relax, ospitalità e ottima cucina.
E seducenti Bagni di Gong da sperimentare all’aria aperta immersi nella natura.
Tirato l’ultimo rigore il minivan dell’hotel Roxy ci riporta a valle, con un leggero amaro in bocca! Una notte di meritato riposo prima di un’altra giornata di tour in compagnia dei nostri amici divulgatori e di chi il territorio lo promuove di professione, come il Tour Operatore Soave Incoming con la direzione tecnica di Alessandro Zarantonello.
Quindi, la domenica, dopo colazione, eccoci di nuovo con il piede sull’acceleratore. Raggiungiamo l’ingresso del Castello di Soave e, superato il ponte levatoio, ci inoltriamo nei meandri della storia, protagonisti gli Scaligeri, i Visconti, i Carrara e altri grandi del passato che vedono incorniciate le loro effige tra le mura del maniero. Perfino Dante depositò qui le sue orme e sedette al tavolo del tenutario di turno, non ricevendo, per altro, granché degna considerazione.
Il fortilizio si eleva esuberante, con un mastio centrale a forma piramidale attorno al quale si sviluppano i giri delle mura che separano tre cortili oltre a un piccolo cortile pensile. Da lì le mura scendono verso il borgo medioevale cingendolo in un largo abbraccio.
La torre, ultimo baluardo di difesa, era probabilmente anche luogo di tortura e cella di prigionia, infatti, da una botola sulla sommità venivano fatti precipitare i prigionieri le cui ossa furono ritrovate ammucchiate alla base. Tuttavia, il panorama di cui si gode dalla cima del mastio, ora con tricolore al vento, è impagabile: spazia dalla Pianura Padana alle montagne delle Lessinia. Vegetazione a perdita d’occhio.
Lasciato il Castello e l’alto camminamento, riprendiamo la salita per colline e declivi – le dune verdi – per raggiungere Matteo a Brenton e la sua produzione di sopresse secondo ricette antiche e il rigore dettato dal disciplinare comunale (De.Co.). Degustiamo la sopressa, con e senza aglio, insieme al pan biscotto e con l’immancabile calice di bollicine autoctono, un must del nostro viaggiare incontro alla nascente destinazione del Soave Wine Park.
Chiudiamo in bellezza con un pranzo dall’accento vicentino presso l’Antica Trattoria Fattori di Terrossa. Ruggero, la mamma Alda e il padre Camillo sono i veri interpreti culinari di questa zona. Spaziano tra i piatti della tradizione sia veronese che vicentina e propongono il meglio, pur rimanendo fedeli alle loro origini. In particolare abbiamo gustato il loro squisito baccalà, piatto che li annovera tra i membri della Confraternita del baccalà alla Vicentina. Annaffiamo con il nostro affezionato Durello della cantina Sandro De Bruno e accompagniamo la crostata di albicocche con il Recioto di Soave, oro nel bicchiere e delizia in bocca.
Che dire ancora… Di nuovo satolli e compiaciuti per il buon esito del week end, abbiamo ricondotto alla base Vittorina Fellin, Luca Liberati, Giulio Badini, Annamaria Arnesano, Gianluigi Pagano, Taisa Gotsyk, Aurelio Bodolati, Lorenzo Drago, Tiziana Benincà, Federica Pagliaroni e Maurizio Drago.
Ma non prima di ricevere un plauso collettivo destinato al Presidente Ferroli che da oltre due anni si prodiga per promuovere la zona attraverso la rete di imprese, e al territorio tutto che, grazie a produttori illuminati e passionari, ha dimostrato di essere all’altezza di un fine settimana davvero esperienziale.
Dall’enogastronomico alla storia, dal paesaggio integro e rigoglioso ai prodotti di qualità, il Soave Wine Park non ha nulla più da dimostrare. Con tale convinzione abbiamo accolto la simpatica sintesi fatta da Maurizio che, in un gioco di anagrammi, ha composto la parola STUPENDA attribuendo a ogni lettera un significato preciso ancorato alle suggestioni evocate dal tour.
Io, però – Stefania Zerbato esperta di marketing territoriale e responsabile della comunicazione -, in chiusura di reportage, voglio portare l’attenzione anche su un altro parametro, per niente casuale o eccezionale. Piuttosto, enormemente strutturale.
Il parametro a cui mi riferisco riguarda la dimensione e conduzione famigliare delle imprese visitate, campione assolutamente rappresentativo di quanto insiste nell’area del mitico nord-est, e non solo qui.
E se è ormai assodato, che il nord-est post crisi non è più tanto mitico, si può senz’altro aggiungere che nonostante la crisi abbia lasciato sul tappeto tanti, ha pure contribuito a far innalzare la testa di molti altri. Alcuni hanno davvero allargato i propri orizzonti e abbracciato strade che prima di oggi erano considerate impraticabili. Ricerca e sviluppo, ristrutturazioni aziendali, attenzione alla qualità e rispetto (vero) per il cliente finale, comunicazione, marketing e tecnologie, formazione e apertura mentale. Qualche steccato in meno e voli più frequenti in Europa e oltre oceano. Scouting di professionalità anche fuori dalla cerchia famigliare per colmare il gap generazionale e di competenze.
Perché, ammesso e concesso che piccolo sia bello, piccolo è – talvolta – anche sinonimo di impossibilità di sviluppare progetti ambiziosi per insufficienza di risorse e per l’alto grado di rischio che questi comportano. Ma piccolo significa anche flessibilità, e nelle paludi della crisi questo è un vantaggio competitivo non da poco, se lo si sa comprendere e gestire.
Il nostro stile di fare Rete prevede la costruzione dal basso, il coinvolgimento delle persone, la definizione di un programma fatto di obiettivi tangibili che soddisfi tutti, senza però rinunciare al giusto grado di ambizione e visione che non appiattisce nel breve ma coglie l’idea possibile, ancorché lontana, di un compimento altro e apprezzabile. Che denoti l’evidente distanza dal punto di partenza.
Il nostro far Rete poggia su un modello: tanti piccoli che sognano da gigante, perché ne hanno la stoffa. Che sono disposti a cedere qualche lembo di protagonismo e una manciata di risorse per condividere e strutturare una proposta territoriale e turistica attraente e sostenibile, che travalichi i confini del Veneto e pure quelli italiani.
Quindi, largo alle aziende reticolari che in una visione meno verticistica e più orizzontale aprono alla collaborazione che sa fare delle singole identità un grande punto di forza e dei gap un valido motivo per costruire alleanze. Differenze, similitudini, lavoro di squadra e lungimiranza.
Perché “se lo sogni puoi farlo”, diceva il grande W. Disney, e noi, almeno un poco, ci crediamo.