Qui, dove scorre birra. Da Praga a Pastrengo

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Scritto da: stefania

Bere birra mi riporta a Praga.
Ogni volta che un sorso si lager o di pastorizzata, o una bella rossa doppio malto, scorre nella mia gola, il Ponte Carlo mi strizza l’occhio. È questione di un istante, ma capita. E’ la mia madeleine. Così è andata anche venerdì sera durante la degustazione condotta dall’abile Giancarlo tra le mura del birrificio Amaldi, a Pastrengo. Terra di guerre d’indipendenza, fortificazioni austroungariche, Carabinieri Reali. Il Master Slow Food Birra ha risvegliato ricordi e ripescato i sentori di boccali di birra sciolti con la neve di una dozzina d’anni fa.

Eravamo in prossimità del Natale e io avevo un gran voglia di andarmene in giro, evitare la trafila delle feste, starmene per i fatti miei possibilmente in un luogo che ancora non conoscevo. Una capitale europea mi sembrava l’ideale, magari raggiungibile in auto, magari verso est. È sbucata la proposta di Praga: rispondeva al profilo ed era nella lista delle non viste. Perfetto!
Partimmo l’antivigilia, il mattino molto presto che ancora non albeggiava. La strada era facile, direzione nord, nord-est, toccando Innsbruck, Monaco, Pilzen e infine la capitale della Repubblica Ceca. Ottocento chilometri, quasi tutta autostrada.
Arrivammo bene, senza intoppi, nonostante la inavvedutezza che ci vide partire privi di pneumatici da neve e di catene a bordo. I tentativi di acquisto delle catene fatti lungo il percorso, sia in terra italiana che straniera, non sortirono effetto. La risposta era unanime: scorta catene esaurita o non disponibili per il nostro modello di auto. In assenza evidente di neve, nonostante le previsioni meteo la calcolassero come certa nelle ore successive sul tratto di nostra percorrenza, arrivammo alla meta nel migliore dei modi: strade pulite e non molto trafficate, nessun controllo particolare sulle nostre dotazioni, in orario sul rullino di marcia.
ponte-carlo-innevato

A Praga però la neve c’era. Eccome se c’era. Era scesa cospicua nelle settimane e nei giorni precedenti. Sedimentata a bordo strada, cumulata sui marciapiedi e nelle piazze, vischiosa o ghiacciata – a seconda dell’ora del giorno – nelle tratte di camminamento e nelle aree meno battute.
Per il resto tutto era stato pulito egregiamente, il che era rincuorante anche se un tantino di preoccupazione per il viaggio di ritorno rimaneva. Ma considerato che non potevamo risolvere il problema nell’immediato, decidemmo di accantonarlo e goderci il Natale praghese e il fascino della Moldava abbracciata dal Ponte Carlo.
E le birre. Certo, le birre ceche, tanto decantate dall’amico Luca che prima della partenza mi aveva fatto giurare di portargliene a casa almeno due dozzine, consegnandomi i dettagli di nomi e marche nel biglietto di auguri per Natale, con annessi 50 euro. Mi tranquillizzò anche sulla somma, la spendessi pure tutta in birra, che lì costava poco, e me ne bevessi un paio alla sua salute.
Il biglietto natalizio conteneva anche i nomi dei locali più interessanti da frequentare, sempre in tema di birre s’intende, e i suoi consigli personali su cosa dovessi – assolutamente – assaggiare. E su questo aspetto fu un tantino più largo di vedute, infatti non si limitò alle lager ma aggiunse pure il companatico: piatti tipici della cucina praghese da accompagnare con le fresche bevute.
piatto e birra praga
E pensare che per me la birra, prima di quel viaggio, rappresentava una bevanda soprattutto estiva da godere nel tardo pomeriggio di giornate afose e infruttuose, vacanziere o scariche di impegni; oppure da ordinare in combino con la pizza, un hamburger o il fish and chips di britannica matrice. Che dire, ero – e probabilmente sono ancora – di limitata cultura birraia. Qualcosa in più m’intendo di vino, di cui quantomeno vanto una maggior pratica.
birra e pizza

Praga mi si rivelò in tutta la sua magnificenza e mi dette conferma delle doti che la proclamano capitale della cultura europea. E venne facile il mix di cultura e storia con la gastronomia e il beverage locale.
Complice un paio di ospitali ragazzi praghesi che misurata l’ingenuità di due ragazze che andavano in cerca di birre con la lista della spesa e assaggiavano questa e quella con insulsi commenti italiani, sfiorando la ciucca all’ora dell’aperitivo, si dettero da fare per … sorreggerci!
Prossimo alla laurea in medicina l’uno e dirigente del comune l’altro, si presero a cuore la nostra sorte per i giorni che trascorremmo nella città Boema. Sornioni, disinvolti, galanti, ci fecero buona compagnia la sera, per calarsi nei panni di esperti ciceroni nel pomeriggio.

Con loro le sinagoghe e il cimitero ebreo non ebbero segreti e, inutile dirlo, anche le birre si svelarono in tutte le loro componenti, che ora so citare con cognizione di causa: acqua, luppolo, malto, orzo, lieviti. Ottime! Davvero. E prima di raggiungere l’hotel l’immancabile passeggiata sul Ponte Carlo, dove il romanticismo scorre a ogni passo e esplode tra i nugoli di stelle che riverberano sulla Moldova e vegliano sulle coppie che si tengono strette, giurandosi amore eterno.

Praga ponte Carlo

Da Praga in poi la mia visione della birra è cambiata. Ha guadagnato spessore e acceso nuove prospettive. Là ne ho veramente assaggiate tante, e molto diverse tra loro. Ogni locale è un micro birrificio artigianale, e in alcuni le proposte sono originali e insolite, almeno per la mia personale preparazione. Birra alla ciliegia, al miele, al caffè, … Per tutti i gusti e per tutte le gradazioni.

Pure a Pastrengo il nostro docente ci conduce a spasso per l’Europa e ci invita a una sequenza ordinata di gesti, prima di affondare le labbra nel bicchiere. La degustazione parte dall’ascolto: è richiesta attenzione al suono dello stappo. Non può essere anonimo, deve avere carattere, anticipare il contenuto, svelare l’equilibrio della bevanda che ci apprestiamo a gustare.
Un bel “pof” quindi, e poi si prosegue.
Tecnica di versamento, calice da degustazione, temperatura del vetro, temperatura della birra. E occhio alla schiuma! Che potrebbe anche non avere una consistenza importante, in determinati tipi di birra, ma generalmente deve essere presente con uno spessore di almeno un paio di dita. Coronare il liquido nel bicchiere e non scemare subito. Persistere quel che serve per consentirci di completare la nostra osservazione.
birra e schiuma

Certo, perché ora si passa al colore, alla limpidezza, alle venature di ambra o ai gialli paglierino, piuttosto che ai toni tostati. E se anziché trasparente è torbida? Di questo ne parliamo la prossima volta, ci frena Giancarlo. E ci invita invece allo sniffo: annusare, declinare gli aromi, i sentori, i profumi. Di frutta, di miele, di pesca matura, noce, crosta di pane, pane tostato, …
Però! E io che pensavo di bere una birra!
Ma sì! Dopo una sana perlustrazione olfattiva, finalmente il nostro tutor ci invita alla beva. Il bicchiere entra il collisione con la bocca e quel nettare lungamente descritto e assaporato con occhi e naso, si infila finalmente nella nostra gola. La prima è una FORST 1857. Una lager che asciuga la bocca. Proprio così, la asciuga, mica la bagna. È una birra a bassa fermentazione, leggera, bevarina.
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Poi ne arriva una un po’ più tosta. Cambio di bicchiere (il nostro kit ne porta 6, oltre la Guida delle birre d’Italia, un volumetto sulle tecniche di degustazione e un quaderno per gli appunti) e pronti per versarvi una birra inglese: la MOOR, ad alta fermentazione e con specifiche varietà di luppolo. Bella la bottiglia, ma il contenuto è decisamente troppo amaro per i miei gusti.
Altro cambio di bicchiere per ospitare una birra italiana (di Rieti, Birra del Borgo), ma di ispirazione americana. Bello il nome e anche quest’altra bottiglia .

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Si chiama ReAle – extra. Nonostante sia pure questa a alta fermentazione, ha una nota acida che conferisce freschezza e la trovo meno amara della precedente. Mi piace!

Mentre Giancarlo prosegue con le osservazioni e risponde a qualche domanda ci viene servito uno spuntino, che per me vale come cena, e che si dimostra i n d i s p e n s a b i l e prima di procedere alle ulteriori due degustazioni.
wusterQui non sono a Praga, non mi spetta una romantica passeggiata a braccetto degli aitanti compagni di ventura. Qui, siamo a Pastrengo, e devo arrivare a Verona, in auto e da sola. Conviene mettere nello stomaco altro oltre alle birre.
Si dimostra ottima anche la scelta dell’intermezzo: un piattino con wuster bianchi, brezel e senape dolce.
Quasi ci vuole una nuova birra per accompagnarlo!
E via con la quarta quindi. Ancora una tedesca, una FORST Sixts doppio malto di 6,5°. Buona, mi gusta. Pulisce il palato e si porta via lo spuntino. Appaga e rinfresca.Master birra_2
Sono quasi le 11 (pm), siamo in dirittura d’arrivo. Il quinto bicchiere del kit è pronto e Giancarlo ci introduce l’ultima birra della serata, decisamente particolare, strana proprio. Complessa.

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Fa 10 gradi, si chiama ELIXIR è italiana, piemontese per l’esattezza. Ma la genìa è inglese, si classifica tra le Ale, ad alta fermentazione e ricca di luppoli rigorosamente British. Aroma intenso e fruttato con sentori di caramello. Color oro marcato e riflessi rubino. Sa di frutta matura, con punta di amaro conferita dal luppolo, ma decisamente bilanciata dalla presenza del malto. È corposa e viscosa, “calda” alla beva. Giusta per chiudere in bellezza.
Quindi, nell’ordine: ascolto, guardo, annuso, assaggio. Godo, aggiungo io. Altrimenti che gusto c’è!
Alla prossima!